Negli ultimi tempi le piante di peperoncino stanno guadagnando sempre più interesse in Italia, soprattutto perché rappresentano una sfida interessante se le coltivi in ambienti diversi, dal campo agli angoli di città. Il livello di piccantezza – che dipende dalla quantità di capsaicina – è quel dettaglio che rende ogni tipo speciale e variegato, attirando tanto chi adora i sapori forti quanto chi si avvicina per semplice curiosità. Per valutare quanto un peperoncino “scotta”, si usa la scala di Scoville, che misura con precisione l’intensità del bruciore che può dare ogni frutto. Coltivarle non è poi così complicato, ma va scelto bene il momento della semina, dato che molte varietà preferiscono temperature miti. Ecco perché molti – soprattutto chi coltiva in città – optano per la coltivazione indoor, una soluzione che aiuta a gestire il clima meglio. Però spesso, chi vive in contesti urbani, sottovaluta la cura necessaria: temperatura e umidità giuste non sono un dettaglio, altrimenti le piante rischiano di indebolirsi o peggio, soffrire davvero.
Varietà e origini botaniche: cosa scegliere per l’orto
Se ti chiedi quale peperoncino scegliere per l’orto, la risposta non è così semplice. Parliamo di un genere, Capsicum, che comprende almeno cinque specie principali, ognuna con il suo carattere e, ovviamente, sapori diversi. Spicca su tutti la Capsicum annuum, diffusa praticamente ovunque, con varietà che vanno dal dolce al piccante estremo. Poi ci sono Capsicum baccatum, tipica del Sud America, quella degli aji per intenderci, e Capsicum chinense, famosa per includere i peperoncini più piccanti, come l’habanero. Altre specie – tipo Capsicum frutescens e Capsicum pubescens – regalano varietà come il tabasco e il rocoto, che tra l’altro soffre meno il freddo. Insomma, c’è una gamma ampia, e questo aiuta a scegliere piante con piccantezza e dimensioni adatte sia ai gusti che agli spazi. Un classico? I peperoncini calabresi, coltivati prevalentemente nel Sud Italia, noti per la loro intensità e aroma ben bilanciato. Per capire la potenza del peperoncino si fa affidamento alle SHU (Scoville Heat Units), che mostrano quanto un frutto può “bruciare”.


Un altro tema da considerare è la difficoltà a far sopravvivere queste piante durante i mesi freddi, specie in zone a clima temperato. Molte specie sono annuali: con l’arrivo del freddo se ne vanno, a meno che non si tenga la pianta in ambienti protetti o serre riscaldate, dove possono durare anche più stagioni. La gestione delle temperature è un passaggio da non sottovalutare se vuoi evitare che le piante si rovinino e per avere raccolti regolari.
Dove e come coltivare: dal campo al vaso fino all’indoor
Il contesto di coltivazione influisce molto sul risultato finale. Se la scelta cade sul campo aperto, serve un terreno ben drenato e abbastanza ricco di sostanza organica, con pH tra 5,5 e 7. Il suolo va preparato a dovere: vangature profonde e l’aggiunta di compost o letame maturo, ma senza esagerare. Il sole? Serve, e parecchio. Queste piante amano il caldo e l’esposizione luminosa. Però la tolleranza al freddo varia parecchio tra specie: il rocoto, per esempio, regge meglio le temperature basse, mentre habanero e carolina reaper vogliono caldo vero. Coltivare in vaso, invece, è la scelta per chi ha spazi limitati come balconi o terrazzi: meglio puntare su varietà più piccole e monitorare bene irrigazione e drenaggio, così da evitare acqua ferma o siccità. I vasi? Devono essere belli capienti, altrimenti le radici non crescono come dovrebbero.
Tra i metodi più diffusi adesso c’è la coltivazione indoor con grow box. Qui il controllo delle condizioni ambientali – dalla luce al clima – è totale, quindi si supera facilmente il limite delle stagioni italiane. È un sistema un po’ tecnico, ma chi coltiva tutto l’anno o vive in città con poco spazio fuori lo apprezza. La fase più delicata rimane la semina, che richiede circa 25 gradi per partire bene con la germinazione. Consiglio? Iniziare in un semenzaio riscaldato alla fine dell’inverno, così da preparare la pianta prima del trapianto, quando le temperature salgono oltre i 12 gradi. Negli ambienti più freddi – pensiamo al nord Italia o alle zone montane – questa accortezza può davvero fare la differenza tra portare a casa un raccolto o perderlo tutto.