Sotto gli ulivi, tra le reti e i rimorchi, si vedono spesso piccole pause di raccolta: olive sparse a terra che sembrano perfette, lucide e pronte per il frantoio. La tentazione di raccoglierle è immediata, specie quando la resa sembra scarsa. Eppure chi lavora con gli uliveti sa che quelle drupe che si sono staccate non sono come le altre. Un comportamento che può sembrare di economia domestica rischia di compromettere l’intera partita di olio.
Le buone pratiche in campo non sono solo tecniche: riguardano la qualità finale del prodotto e la sua commerciabilità. Raccogliere le olive cadute e mescolarle con quelle sane è un rischio che molti produttori evitano consapevolmente. Un dettaglio che molti sottovalutano, soprattutto i piccoli proprietari, è che basta una minima percentuale di frutti alterati per cambiare l’assetto chimico e sensoriale dell’olio.
Perché lasciare le olive a terra
Le olive che sono finite sul suolo entrano subito in contatto con il terreno, con batteri e spore fungine, e spesso hanno subito danni meccanici o biologici prima di cadere. Il primo effetto diretto è il peggioramento dello stato sanitario della drupa: la polpa si rompe più facilmente, iniziano processi di fermentazione e aumenta la carica microbica. Se queste olive finiscono in molitura, si traduce in acidità libera più alta, crescita del numero di perossidi e alterazioni degli indici spettrofotometrici che certificano la qualità.

La conseguenza pratica è che l’olio può presentare sentori sgraditi come note di terra o muffa, oppure difetti di avvinato e riscaldo che portano a declassamento. In molte realtà agricole italiane si è imparato che non è questione di tonnellate: anche poche olive marce possono compromettere quintali di prodotto sano. Un fenomeno che in molti notano solo d’inverno è che il contatto prolungato con il suolo peggiora rapidamente la situazione, soprattutto in terreni umidi.
Per questo motivo la prassi corretta è destinare le olive cadute ad usi non alimentari o lasciarle decomporre naturalmente: produzione di oli non destinati al consumo, alimentazione animale o impianti di biodigestione. Chi vuole proteggere il valore commerciale del proprio olio preferisce rinunciare a qualche chilo a favore della qualità del lotto.
Gli insetti e le malattie che provocano la cascola
Tra le cause più frequenti della cascola precoce ci sono gli insetti e le infezioni fungine. La presenza di fori, decolorazioni o avvallamenti è spesso il segno che la drupa è stata attaccata. La mosca olearia è il nemico più noto: le femmine depositano le uova nella polpa e le larve scavano gallerie, compromettendo i tessuti e innescando fermentazioni. Il frutto indebolito si stacca con facilità e porta con sé alterazioni che si riflettono sull’olio.
Un altro agente che in varie zone del Paese provoca danni è la cimice, che punta la drupa con il suo apparato boccale e determina necrosi localizzate. Questi danni non sono solo estetici: si osserva una riduzione dei polifenoli e dei tocoferoli, composti fondamentali per il profilo nutraceutico e per la stabilità ossidativa dell’olio. Un aspetto che sfugge a chi vive in città è quanto questi cambiamenti, spesso invisibili a occhio nudo, incidano sul sapore e sulla durata del prodotto.
Le infezioni fungine, come la cosiddetta lebbra, creano aree necrotiche sulla drupa che favoriscono la colonizzazione da muffe e batteri. Se le olive rimangono a terra per giorni, il contatto prolungato con il suolo accelera la contaminazione: l’olio risultante può mostrare sentori di terra o muffa e perdere intensità negli attributi positivi come il fruttato, l’amaro e il piccante. Per questo motivo molti tecnici del settore consigliano di non raccogliere affatto le drupe cadute quando l’obiettivo è ottenere un olio extravergine di qualità.
Sovramaturazione e impatto in frantoio
Oltre ai parassiti e alle malattie, una terza ragione della cascola è la sovramaturazione: olive che raggiungono uno stadio avanzato di maturazione si staccano spontaneamente. Sebbene possano apparire integre, queste drupe hanno subito trasformazioni biochimiche che ne riducono il potenziale in frantoio. Tra i cambiamenti più rilevanti c’è il calo dei composti fenolici, sostanze che danno sapore e proteggono l’olio dall’ossidazione.
Con la maturazione avanzata aumentano anche alcoli e composti carbonilici responsabili di odori secondari meno gradevoli. Il risultato, sul piano sensoriale, è un olio più piatto, meno caratterizzato e con una shelf life ridotta. In pratica, l’olio perde la capacità di mantenere gli attributi positivi nel tempo e diventa più vulnerabile al deterioramento.
Nei frantoi si valuta sempre la possibilità di separare le olive per origine e qualità: frutti caduti e sovramaturi sono trattati in lotti diversi o scartati per usi diversi dall’alimentare. Chi gestisce un impianto lo sa bene: la tracciabilità e la selezione in ingresso sono determinanti per il risultato finale. Un dettaglio che molti sottovalutano è che la qualità non si costruisce solo in frantoio, ma comincia nel campo, con scelte semplici ma rigorose.
Lasciare le olive cadute a terra è quindi una scelta tecnica e commerciale. In molte zone d’Italia i produttori hanno già adottato questa regola per tutelare l’olio e il proprio mercato: un piccolo sacrificio in campo che preserva il valore del prodotto.